Il secondo giorno inizia con i postumi del giorno precedente, tra febbre e male al collo (che ha contrastato il vento per oltre 250 km).
È uno dei giorni più belli: quello che abbiamo passato attraversando i fiordi in altri 600 km di curve costiere. Abbiamo visto per la prima volta le foche e alla fine abbiamo odiato vedere l’uscita dall’altro capo del fiordo: la strada che avresti ritrovato solo dopo almeno 40 km.
Prima tappa alla Rauðisandur Beach con una bella discesa sterrata sul mare (dove la cautela è d’obbligo), per poi passare dal relitto di Garðar BA 64, proseguendo la strada 63 fino alla 60, e poi verso nord per la cascata di Dynjandi.
La strada 60 diventa 61 e si comincia con piccoli grandi e infiniti fiordi, che si susseguono in una overdose di paesaggi mai monotoni e di una bellezza disarmante.
Alle 3 del pomeriggio con ancora 300 km da fare, la stanchezza comincia a farsi sentire e selezioniamo sul nostro computer mentale la “mappa Islanda”: si alza l’andatura, si fanno poche foto e si cerca di fare più chilometri possibili senza fermarsi.
La sosta obbligata è per fare benzina a Reykjanes, dove una fantastica piscina all’aperto con acqua calda si staglia sul panorama del ghiacciaio Drangajökull.
L’ultimo fiordo porta all’incrocio della strada più famosa, la 1 (su questa strada è meglio controllare l’andatura), e finalmente verso le 20 arriviamo alla nostra meta: Blönduós.
Domani sarà il giorno delle balene e della pesca.
Il viaggio seconda parte da Blönduós a Skjöldólfsstadaskóli
Terzo giorno da Blönduós a Storutjarnir 270 km
Ci svegliamo presto perché oggi è un giorno speciale: per la prima volta probabilmente vedremo le Balene.
Il nostro itinerario è di (pseudo) riposo, solo 270 km. La costa nord dell’Islanda è bella ma non bellissima (almeno la parte tra Sauðárkrókur e Dalvik), abbiamo affrontato le prime gallerie viste in Islanda e siamo arrivati all’Artic Sea Tours Whale Watching .
Dopo 1300 km quasi completamente soli, entrare in un “barcone” pieno di turisti, stile “gita alle piattaforme ENI di Rimini” è molto strano.
Qui ci sono due opzioni, per vedere le balene: barcone con 40-50 persone, oppure gommone stile “Top Gun” con 12 posti. I prezzi sono astronomici in entrambi i casi ma, con circa 80 euro a testa, secondo me il barcone è la scelta migliore.
Mentre mi innamoro del nostromo, una scattante bionda tuttofare, incontro una signora canadese che mi racconterà della sua giovinezza universitaria a Bologna e della sua vita internazionale tra Ucraina, Germania, Canada. Scopro anche che a Toronto d’estate è più umido che a Bologna, cosa che mi risulta difficile immaginare.
La gita dura circa quattro ore e mezza e ci porterà fuori dal fiordo di Dalvik, dove le Balene si dovrebbero fermare per uno spuntino.
Abbiamo fortuna, siamo ancora dentro al fiordo e vediamo il classico respiro stile eruzione vulcanica: è un gruppo di megattere, l’emozione è fortissima. Sono già felice ma il capitano punta a tutta birra sul gruppo come dovesse speronarle. Un gommone, molto più veloce, ci arriva da dietro velocissimo e pieno di ricchi cinesi con le loro macchine fotografiche; le balene non sembrano troppo infastidite, si spostano con calma e pazienza. Sempre meglio che finire mangiate, come del resto accade ancora da queste parti. La magia e stupore per la bellezza e l’imponenza di questi cetacei contrastano con la scena grottesca di 60-70 persone (tra barcone e gommone) che girano con le loro barchette a tutta velocità, facendo una gran confusione, per avere 3-4 foto di un monumento della natura (natura che peraltro noi in generale stiamo distruggendo in tutte le sue forme).
Al ritorno verso il porto, il nostromo chiede chi vuole pescare e comunica che il pescato verrà mangiato in porto.
Dopo due giorni di razioni Kappa, mangiare pesce fresco non ci pare vero, prendiamo subito le canne e ci mettiamo all’opera. Il nostromo ci dice che non ci sono esche vive, usiamo esche artificiali tipo da traina, ma la barca è ferma. Quindi dobbiamo arrivare sul fondo del fiordo con l’esca a una trentina di metri di profondità, alzare di circa 1 m e poi muovere verticalmente la canna in alto e in basso.
Dopo 10 minuti avevamo due merluzzi da quasi un chilogrammo ciascuno. Peccato che tutta la barca ne aveva presi cinque compresi i nostri due: cinque pesci… per quaranta persone. Bene ma non benissimo.
Il nostromo (la bionda) ha poi pulito il pesce al volo con una rapidità pazzesca, non facciamo in tempo a sbarcare che i pesciolini sono già sulla griglia, come si dice: “ti voglio sposare” in islandese?
Finita la (mini) grigliata ci dirigiamo verso la cascata Goðafoss Waterfall. Non abbiamo ancora fatto la nostra cavolata quotidiana e neanche un metro di sterrato. Sul road book avevo un taglio sterrato: la strada 832. È praticamente un passo per evitare di costeggiare il fiordo. In quegli anni stavano costruendo il tunnel della strada 1, peccato che per farlo avessero chiuso alla fine la 832.
Faccio inversione, quando Andrea si acquatta come un Apache in vista della diligenza. Sono le 17, gli operai stanno smontando dal turno e se ne stanno andando a casa. Secondo lui, noi dovremmo andare in fuori pista giù per la collina, tra sassi ed erba, entrare nel fosso della nuova strada che stanno costruendo e risalire la massicciata sopraelevata di almeno un metro e ottanta dal piano di campagna con due moto con gomme stradali e la posteriore ormai slick e a pieno carico